1950 - UN CORAGGIOSO EDITORE DI EDIZIONI D'ARTE: DE LUCA

 

 Le sue prime quattro monografie,  lo scultore Emilio Greco e tre pittori, sono autentiche conquiste editoriali tese a valorizzare la nostra arte contemporanea.

          Se nel passato i nostri editori avessero dimostrato per l’arte del nostro tempo la fede e l’amore del lucano De Luca, Editore in Roma ( Istituto Grafico Tiberino ), oggi non vedremmo miracolo di creazione del nostro secolo solo l’arte francese a danno della nostra, disprezzata anche da coloro che trovano comodo mimetizzarsi del brutto e camuffarsi in certo surrealismo nato con troppa prolificità in Francia, dove pur nate cose bellissime, ma avremmo anche , miracolo di più vera creazione,  molta nostra arte che la Francia ha trovato comodo far passare per mistificato riflesso della sua.

            Cézanne, il pittore di cui la Francia fa bella mostra di sé, è artista italiano senza equivoci, perché il suo credo affonda salde le radici in quel lievito che si innesta nel filone mai incrinato della nostra tradizione dove si assiepano i nomi di Duccio e Giotto, S. Martini e Masaccio, Della Quercia e Donatello, Piero Della Francesca e Antonello, Michelangelo e Leonardo, Giorgione e Tiziano e su su fino a Bernini, Tiepolo, Fattori, Rosso, Modigliani, A. Martini e quel grandissimo che fu il Caravaggio che Cézanne non disdegnò di studiare a fondo e di interpretare copiando la bella Deposizione Vaticana.

            Ma non è del nostro grande passato che dobbiamo scrivere, bensì dell’editore De Luca che ha affrontato con coraggio il problema della valorizzazione dell’arte contemporanea, iniziando la pubblicazione di una collana di monografie che contribuiscono efficacemente a far conoscere la nostra arte che proprio in questi ultimi anni, varcando le frontiere, ha stupito  per i suoi valori, lasciando ammirati e soddisfatti gli stranieri che sino a ieri si ostinavano a non credere in un’arte italiana contemporanea, svalutandola, quel ch’è peggio , nei mercati internazionali conquistati dalla Francia proprio con la fitta rete di divulgazioni editoriali.

            L’arte, in Italia, concetto che la quasi totalità degli italiani ignorano, compensa le miniere, ricche di metalli preziosi, che mancano. E dovrebbe essere un dovere sentito da tutti coloro che hanno i mezzi per farlo, il valorizzarla, così come De Luca e pochi altri in Italia, e per il nostro prestigio all’estero e per costituire una fonte di guadagno e di benessere imponendo ovunque, come nel passato, questo  inalienabile e inalterabile prodotto dell’intelligenza e dell’ingegno del nostro popolo, di cui sono ricche le gallerie pubbliche e private, ovunque nel mondo.

            De Luca, abbiamo detto, ha sferrato la campagna pubblicando una serie di monografie di artisti giovani e giovanissimi ed internazionalmente affermati, come Mafai, Gentilini, Purificato, pittori, e lo scultore Emilio Greco, nostro , che F. Bellonzi presenta come uno degli artisti più affermati, definendolo “ mediterraneo “.

            Ma non si può parlare del valore dei quattro libri, senza accennare al gusto tutto nuovo e dinamico, nitidezza, impostazione, veste, stampa, riproduzioni di tutto quanto concorre a provare che si tratta di gusto editoriale svecchiato e messo in linea con la più moderna ed esigente editoria, con quanto di più elegante e intelligente richiede il gusto odierno.

            E poi, come si potrebbe non dir bene di un editore che affronta con dignità e coraggio problemi che avrebbero dovuto essere risolti e superati almeno un secolo addietro?

            Di Greco e della sua opera, scrive un letterato e critico di indubbio valore: F. Bellonzi. Ragion per cui ci dispensiamo dal dire chi sia il Bellonzi, come chi sia il Greco, nomi ormai acquisiti dalla Storia dell’arte.

Vediamo invece se il giudizio del critico, sia riuscito ad offrirci un esame acuto dell’opera di Greco.

            Dopo la premessa ove Bellonzi dichiara che la scultura ha minor probabilità di traviamento della pittura, per l’aver minore numero di dilettanti, ammette che l’uomo ha espresso il meglio di se nella scultura, e puntando sulla scultura italiana di oggi che per merito di A. Martini, la cui « Nuotatrice sott’acqua » rappresenta il massimo punto d’arrivo, giunge a Greco, che attraverso un lungo e non agevole cammino si è inserito nella storia della nostra scultura. Storia della contemporanea scultura italiana che Bellonzi limita a Marini e Manzù, Fazzini e Greco.

            L’autore fa risalire la scoperta di Greco scultore, ai ritratti del nostro artista, visti per la prima volta alla IV Quadriennale romana, « con quelle epidermidi porose e respiranti e quella eccezionale baldanza che voltava la cupola dei teschi, rilevava i contorni delle labbra, graffiava i capelli e le ciglia e faceva così pungenti le pupille e nelle orbite fonde, che ebbi subito la sensazione di trovarmi di fronte ad un giovane scultore di sicuro avvenire, uno dei pochi sui quali si potrà contare ».

E’ nel vero Bellonzi, quando afferma che « si avvertiva la presa diretta di contatto con la plastica etrusca. Né si trattava di un fatto erudito, ché a prima vista si scoprono i limiti delle nostalgie del museo., quando la bellezza e sincerità delle lingue antiche degradano a eleganze arcaistiche cui è demandata una funzione meramente ornamentale, di copertura; ma si trattava di una esplorazione nel terreno di una civiltà figurativa che rispondeva al naturale dello scultore, per una di quelle parentele misteriose che, valicando d’un balzo l’abisso del tempo, fanno attuale una voce di poesia antica di due millenni e mezzo ».

            Detto che lo scultore si è andato man mano liberando dallo schema ideale preesistente esigendolo da sé con la sempre più chiara e approfondita rivelazione di ogni storia personale, continua dicendo: « Chi  osservi le date che portano questi ritratti si accorgerà del rapido e vittorioso cammino dell’artista in cinque anni. Di certa asprezza delle origini…non rimane traccia nelle opere più recenti; e il gusto di ripetere, sia pure con articolazione propria e moderna, moduli antichi ( com’è nell’omino del ’43, opera destinata a rimanere, sentenziamo noi ) ha lasciato il posto ad una indipendenza formale che obbedisce ormai unicamente al moto di simpatia dello scultore per il suo tema ».

Bellonzi è soddisfatto del suo soggetto e, in verità dobbiamo anche noi ammettere che critico ed artista si sono incontrati senza tema di compromettersi. E’ un libro tessuto con grande entusiasmo ma anche con troppa e castigata coscienza.

« …io trovo congiunta la verità umana del personaggio e quella del tempo; e credo che essi saranno, domani, memorie non mute di noi e delle nostre sofferenze; parlando agli uomini che saranno del nostro destino con gli accenti gravi e dolenti di una virile accettazione ».

Ecco la vera conclusione, il nocciolo o fulcro dell’arte di Greco, la sostanza più vera di ogni arte. Resistere al tempo, parlare al cuore di oggi di domani e di sempre, assolvere una funzione etica, attraverso la sobrietà delle forme e la ricchezza di contenuto interiore, conseguito con i più puri valori artistici, fuori e lontano dall’avventura e dall’avventato, camminando cioè su quell’unica via, quella dello spirito, che conduce sicuri al grande porto della gloria.

La scultura di Greco non vacillerà nel tempo; anzi affermerà di più la sua forza perché sincera, cavata dal di dentro e non da forme prese a prestito e patinate di inettitudini e di ipocrisia, di vuoti astratti, significazioni mutabili dall’oggi al domani nella stessa coscienza di chi opera fuori dall’ispirazione e dalla forza interiore che sola compie l’opera d’arte.

Bellonzi va in fondo soffermandosi con confronti con l’arte di artisti contemporanei, quali Marini e Fazzini. Libro da leggere e godere nelle sue belle tavole.

Di particolare interesse è la nota autobiografica di Greco.

A parte diremo delle monografie di Mafai, Gentilini e Purificato, le cui opere Catania ha due volte viste.

Completa il bel volume una rassegna dell’attività di Greco, ed una nota bibliografica ridotta all’essenziale.

 

Alfredo Entità

 

da “ Giornale dell’Isola “ Catania  Martedì 28 novembre 1950