1962 - ARTISTI TRENTINI ESPONGONO A ROMA

 

 

 

 

            Ben ha meritato la mostra sindacale degli artisti trentini a Roma l’inaugurazione del Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui e di tutte le più alte autorità politiche, nazionali e regionali del Trentino, delle autorità del Comune di Roma e di una fittissima folla di studiosi d’arte, critici, cultori, collezionisti, amatori e di pubblico tanto quanto se ne vede all’ inaugurazione delle Quadriennali romane e delle Biennali veneziane. E ci ha stupito l’ interesse che questa mostra ha destato in tutti, l’attenzione che deputati, senatori, studiosi, giornalisti han posto nell’ammirare e valutare le opere, nell’esaltare e guidare questa e quella opera oggetto di attenta e cosciente disamina, di un vaglio operato con rigore di metodo e consapevolezza di valori degni di figurare in una mostra di grande respiro. Stupiti siamo rimasti per i numerosi acquisti operati da enti pubblici e privati, da collezionisti tra i più quotati difficili a riscontrarsi in così fitto numero ad una inaugurazione. Eppure, non sempre una mostra sindacale, come questa promossa dal Sindacato Italiano Artisti Belle Arti della sezione di Trento, ha registrato tanto successo, è stata oggetto di così calorose adesione e partecipazione di autorità e pubblico. Il merito di tanto successo va certo dato alla cosciente selezione delle opere inviate a partecipare. Tanto che, la commissione composta da Umbro Apollonio e Silvio Branzi, critici d’arte e dallo scultore Giuseppe Pirrone segretario nazionale del Sindacato e dal pittore Mariano Fracalossi segretario della mostra, ha ridotto le quattrocento opere inviate (trecentonovantacinque) dai cinquantaquattro artisti partecipanti, a sole centotrentadue riducendo gli artisti a quarantasette. Coraggiosa e cosciente selezione che dovrebbe essere operata in ogni collettività, specie se si tiene conto che oggi la confusione è immensa e il pubblico è disorientato a tutto e a solo vantaggio degli inetti e a danno di coloro che operano su un impegnativo piano di rigore e di serietà.

             Il comitato organizzatore, come nelle grandi rassegne nazionali e internazionali, ben ha fatto ad includere le retrospettive degli artisti trentini scomparsi chi di recente chi da un trentennio, come Angelico Dallabrida, Tullio Garbari, Umberto Moggioli, Gino Pancheri e Fortunato Depero, quest’ultimo degno di essere riproposto e rivalutato da un prossima Biennale veneziana dove Depero espose sempre e sempre fu ammirato e favorevolmente discusso dalla critica più provveduta e intelligente. Al comitato promotore composto dallo scultore Luigi Degasperi e dai pittori Bruno Colorio, Mariano Fracalossi, Guido Polo e Remo Wolf, vada il nostro sincero plauso per tanta calibratura organizzativa.

            I partecipanti alla rassegna romana, abbiam detto, sono quarantasette con centotrentadue opere, e tutti degnamente rappresentati. Peccato che alle retrospettive non sia stato concesso più spazio, specie, vi insistiamo, a quella di Fortunato Depero che a noi sembra ben più robusto come assoluti valori del francese Léger come uno dei più solidi del gruppo futurista a cui Depero aderì portandovi un contributo notevole. Il Dallabrida, nelle sue rapide notazioni di paesaggi, non manca di momenti di felice intuizione, di penetrante sensibilità. Garbari, travagliato da ossessioni religiose, attende una sua valutazione come la attendono Moggioli e Pancheri succosi e briosi coloristi e artisti di non trascurabili interessi anche se disciplinati e tutti volti verso la tradizione figurativa, nemica di ogni spesso gratuita improvvisazione e reclamistiche polemiche.

          Ed eccoci al cospetto delle opere degli artisti viventi, figurativi nella quasi totalità. Di Claudia ed Elmo Ambrosi, ci piace la generosità sincera, la pastosità, la sobrietà convincente e costruttiva delle due nature morte. Estrosa e balenante di carica emotiva la visione di paesaggio di Franco Baroni. Nei suoi ricordi morandiani, assai ci piace e convince la «Natura morta» di Marco Bertoldi.

Mario Bettinazzi, ci esalta col suo «Autunno», come «Gli Ulivi» carichi di sensibile castigata atmosfera agreste di Rosetta Gadler-Bracchetti. Quanto gusto e raffinatezza nelle quattro fantasie colorate (feltro) di Lisa Bucci e quanto amore per gli orizzonti aperti e tutti luminosità di Mario Disertori. Ines Fredizzi, nelle sue due composizioni, raggiunge eleganza e raffinatezze di un gusto sobrio e pur tanto aristocratico; Mariano Fracalossi ci trasporta con tanto gusto e trascesa convinta grafia di colore, in un mondo incantato. Impegnativo il «Paesaggio» di Ivo Fruet, e vitale sino alle cose più recesse pur nella loro esemplificazione, «Levico d’inverno» di Maria Lotter Montenovesi. Riposante, graficamente sciolto «Baracche sul Tagliamento» di Ruggero Marzatico e «Darsena», tutta luce di Mario Matteotti.

            «La ragazza del cavallo» di Giuseppe Niccolini ci persuade per quel sostanziarsi di colori pastosi mentre sentiamo ben realizzato il luminismo di «Neve a Mezzano» di Davide Orler. I due «Paesi» di Renato Pancheri son giuocati su un purismo di toni e di linee, così sebbene robusta nei contorni  più intensa di colori «S. Trinità» di Perghem Gelmi Michelangelo. «Fiori» di Luigi Pizzini giungono quasi all’astrazione con sobrio pennelleggiare. «Odette» di Guido Polo ci trasporta nel nobile impianto di forme e di colore di Casorati. Nitore e levità di tocco riscontriamo nel persuasivo acquarello «Campo Negroni» di Giuseppe Sannicolò. «Autopiano veronese» di Raff Sartori ha buone qualità di segno e di colori. Stenico Ticky ci piace per i suoi impianti e tagli sicuri come il gruppo di opere di Remo Wolf tutto vibranti toni, ci interessa per certa architettura disegnativa. «Cielo grigio» di Giovanni Zanetti ha trasparenze e delicatezze poetiche.  Estrosi «Cardi» di Maria Stofella, dal segno nervoso e costruttivo e così lo sciolto e dinamico «Tessuto roccioso» di Cesarina Seppi assieme al nutrito gruppo di sue opere. Luigi Senesi costruisce gustosi ritmi di forme e di colori e A. M. Schmid con una complessa tastiera mette a punto un sinfonico accordo di colori in «Figurazione», «Fermento», «Nudità», «Canto umano», «Situazione». «Uava» primo e secondo di Enrico Sartori hanno pregi di impasti cromatici. «Natura morta in rosso» di Lino Lorenzin  puntinisticamente tessuta, ha dell’interesse compositivo mentre «Fiori» di Alberto Graziadei ha il pregio del libero giuoco di pennellate larghe e sicure. Una sua sostanza compositiva ha il monotipo di «Natura morta» di Vrigilio Eccel. Fascinose le chinografie di Achille Dal Lago mentre restiamo perplessi dinanzi al «Crocifisso» di Bruno Colorio. La «Pittura n 1» di Giacomo Brigadoi e pittura in senso puro e vi si può accostare «Opera 137» di Carlo Andreani. Il bianco e nero ha un ottimo «Stato d’animo» in Gian Maria Bertoldi, delle autentiche acqueforti liricamente incise di Carlo Bonacina, belle xilografie (bellissima «Garofani di monte») di Lea Botteri; esigua la scultura; espressionistico il «S. Francesco» di Othmar Winkler e il «Personaggio sul prato» di Alessandro Stenico. Bloccata nel carattere e assai ben modellata «Piera» di Aroldo Pignattari. «Contrasto» e gli altri bronzi di Martino Demetz sono giocati con abbastanza estro inventivo come inventiva vi è nei complessi figurati di Luigi Degasperi. Abilità compositiva è quella del «Gatto» di Gino Bombonato e delle restanti sculture dello stesso. Non manca il mosaico con Gino Novello e i suoi ritmistudi e piani eseguiti da vero maestro.

            Mostra, questa sindacale trentina, davvero tra le più impegnative che sindacati abbiano potuto realizzare e densa di significazione e ammaestramenti per quelle analoghe manifestazioni che a Roma trovano il loro più adatto ambiente soprattutto valutativo per quel fervore di critica e di giudizi che i visitatori romani sono oramai adusati ad esprimere e la critica giornalistica a riecheggiare.

Alfredo Entità        

    

Pubblicato sul Corriere di Sicilia , Palermo 31.01.1962