1958 - CONSUNTIVO DI UNA BIENNALE DI VENEZIA, LA XXIX

 

 

Il 19 ottobre ha chiuso i battenti la XXIX Biennale di Venezia, la più discussa, avversata, la più criticamente aggredita ed accusata, ed anche la più polemica e spregiudicata dal 1985 ad oggi. E perché non anche la più coraggiosa, la meno conformista, la più possibile di futuri sviluppi e di reali rinnovamenti?
Il bilancio, sotto alcuni punti di vista, potrebbe anche dirsi positivo se non a suo discapito continuassero ad insorgere critici italiani e stranieri che non hanno risparmiato strali, invettive ed epiteti, giustificati moltissimi dalla presenza alla Biennale di certi stracci odoranti. Ma bisogna anche dire che la Biennale non è solo stracci e non si esaurisce negli stracci e che queste "opere ", et similia, come diremo, possono aver avuto uno scopo ben determinato.
Biennale negativa si direbbe dunque per molti che propongono addirittura il seppellimento dell'istituzione, di serrarne definitivamente i battenti come avesse già assolto la sua missione, avesse concluso il suo periplo, chiusa la sua magica parabola, il suo ferreo cerchio. Biennale che tutte ha esaurite le sue vitali energie senza più speranza di riprendersi e rifarsi, tornare a vivere e ad imporsi alla incondizionata ammirazione universale di ieri, come massima espressione dell'arte mondiale, come messaggio di nuova civiltà o agone dove si giocano le sorti civilizzatrici dei popoli, per tutte le generazioni, attraverso il metro della più alta espressione dello spirito umano: l'Arte.
E non ha forse l'arte questo universale più alto e sublime compito fra tutte le manifestazioni dell'esistenza umana? Esiste o è mai esistita forse qualcosa che si sia o possa collocarsi al di sopra dello spirito, essendo l'arte lo spirito stesso nella sua etereità, nella sua più alta e sublime elevazione?
A giudicare dai cartellini a centinaia, che in ogni mostra di qualsivoglia natura animano artisti e organizzatori e può dirsi che tirino le somme dei veri, reali risultati raggiunti, con la scritta « venduto », dovrebbe dirsi che si è chiusa una Biennale « positiva » e positiva quanto meno economicamente lo deve essere stata. Ed allora come fare ad unirsi incondizionatamente al coro di proteste, alla addirittura scandalistica propaganda negativa ovunque si discuta o si accenni a discutere d'arte ( treni, caffè, circoli ) oltre che in tutta la stampa nazionale e di fuori se giudicando la Biennale sotto il profilo economico, come in ogni manifestazione le cui conclusioni date sono sempre quelle del risultato economico raggiunto, è positiva e per alcuni artisti e per alcune opere, addirittura sbalorditiva?
Avete fatto caso, prestata attenzione al numero di cartellini appuntati sotto molte opere che hanno trovato sino a dieci, undici acquirenti? Parlo di bronzi, dipinti, disegni, incisioni, certo non astrattisti nella quasi totalità o nella totalità. Anzi se non ricordo male ( ma proprio non mi pare ) uno di questi fortunati è proprio il nostro Carmelo Cappello, presente con una davvero bella personale ( uno dei pochissimi scultori invitato con una sala alla XXIX ) che da un figurativismo trasceso dai più commossi accenti lirici, masse e volumi bloccati, è transitato in un astrattismo, direi filiforme, di natura aerea concluso possiam dire nella sua salda unità architettonica ed essenzialità spirituale, come a dire che l'astrattismo di Cappello si articola entro il magico cerchio dell'arte fatta spirito, senso di commozioni creative, di stati d'animo allo stato di grazia. Ma vi è che l'astratto Cappello opera sotto l'imperioso spirito dell'immagine umana avulsa dal transeunte.
Ma il nostro giudizio non vuole andare e non va, non si arresta e lascia guidare dai moltissimi che si ripetono per molte opere e sino a dieci, undici « venduto », abbiam detto, per una sola opera, che gli acquirenti, molti di buon gusto e salda preparazione artistica, certo non possono ripartirsi in parti uguali e proporzionali alla precedenza d'acquisto, ma dovranno avere ciascuno un esemplare dell'opera stessa. Sotto questo aspetto o punto di vista devo dire che è stata per me una scoperta, la Biennale, non essendomi mai avvenuto prima di vedere una simile ressa di « acquistato » sotto una sola opera e la possibilità di soddisfare tante richieste. E' quindi assai istruttivo visitare la Biennale nei giorni di chiusura e non al suo inizio in occasione della vernice, come tutti abbiam fatto sempre e facciamo in genere, se si vuole avere la misura del suo successo, sia pure limitato al fatto economico.
Ma gli acquirenti, un po' di tutto il mondo, sono ed è gente sprovveduta o qualificata...qualificata nel più dei casi ed esperta e più preparata nel senso estetico che non noi? A chi dare retta? a quella parte di stampa – la più negativa - ed ai rifiutati che protestano, agli ancorati ad un passato senza speranza di rinnovamento e privo di cosmico afflato rigeneratore – e la vita dell'universo e delle singole cose sta solo e tutta nella sua rigenerazione – o a coloro che questa vita sentono urgere e generano, rinnovandone e assicurandone la continuità tenendo a precisare però che questa « continuità » o la « continuità della vita dell'arte » non è assicurata dagli stracci o da certo vomito di gessi e colori?
Ma il nostro giudizio, precisiamo nettamente, limitiamo all'arte al fatto creativo e non s'arresta o si lascia irretire o guidare, dai moltissimi, sino ma undici abbiam detto, per una sola opera – e non sono poche le opere con tutte queste « preferenze » specie e più nei padiglioni stranieri ( constatazione assai significativa ) e che gli acquirenti non possono certo ripartirsi, anche se opera astratta e che l'artista dovrà tornare a produrre in più copie. E il nostro giudizio, ripetiamo, limitiamo a ciò che dovrà " resistere " " durare " , sfidando le mutevolezze del gusto estetico attraverso i millenni e restare pietra miliare del nostro spirito e del nostro tempo distintamente individuabile dell'arte insomma e non tiene affatto conto del risultato economico qualunque possa essere stato, del numero cioè dei « venduto » che per suggestione può far fare anche la ressa dietro ad un prodotto d'arte.
Prescindendo da ogni allettamento di " esaurito " o meno, dobbiam dire che un bel « bagno » alla Biennale veneta , da qualunque «direzione » e « maturazione » si provenga, è cosa che fa sempre bene. Tanto più e meglio se si pongono da parte i preconcetti gli idola tribus o theatra e si varca la soglia dei padiglioni con mente sana ed animo puro, sgombri cioè da ogni ombra e pronti ad accogliervi tutte quelle impressioni che si ricevono dalla diretta lettura delle opere esposte. E se il bagno poi si ripete e può ripetersi per più giorni, meglio ancora. L'interessante è « tuffarsi » e tuffarsi abbiam detto con spirito aperto, « vergine », disposti a giudicare serenamente, attraverso le impressioni immediate che si ricevono restando soli, a tu per tu con l'opera d'arte, e non impennarsi non appena si varca la soglia del padiglione italiano ( sezione astratta ) dove si accumula tutto il marcio della Biennale e si resta mortificati dalla schiacciante superiorità di quasi tutti i padiglioni stranieri. E' di tutti i trentasei padiglioni che si tirano le somme e non solo di quello italiano ch'è il solo ne siamo certi che ha sconcertato tutti, italiani e stranieri che sono passati per la Biennale, primi tra tutti gli stessi artisti, che si sono " vicendevolmente elogiati... ". Il discorso negativo, si sa è per l'allargamento di spazi concessi all'astratto.
Nel complesso, però salinità e salsedine delle acque, mosse, tormentose della Biennale, a meno che non si sia costituzionalmente infetti e predisposti al malanno, a contagiarsi, detergono e rinvigoriscono, rinverdiscono, ringiovaniscono l'arte e ci fanno sentire come scossi da lungo e letale torpore: sono acque quelle della Biennale che hanno proprietà e potere di scuoterci di dosso gli spessi strati scagliosi protettivi e lesivi al contempo del limitato e circoscritto mondo che rimugina dentro di noi e liberarci da certi rancidi vecchiumi. E così crollano impalcature e religioni, istrionismi anche dei più falsi e bugiardi, lungi dall'apparenza del sembrarci decrepiti, gottosi e vacillanti, tarlati senza più possibilità di sostenersi e sostenere pesi e urti sia pure di trascurabile valore. In verità certe formule fisse di gente ancorata all'Ottocento e a che Ottocento, assunte a «divine » unità di misura nelle combinazioni e formule nelle quali si fa consistere il mondo ( soggetto a incrinarsi se fallano... ) hanno perduto il loro mordente e l'assoluta incrollabile fede nonostante la casta sacerdotale non molli le roccheforti di un provincialismo deteriore e mortale per il rigenerarsi dell'arte.
Le impurità esistenti nella costituzione fisica di tutte le cose, elementi refrattari per chi è costituzionalmente immunizzato da facili contagi sempre in agguato per chiunque e qual si voglia cosa, soggetta a marcire e disfarsi. E di marciume nell'arte di ieri ce n'è proprio tanto, specie ad ornamento delle pareti delle case patrizie e nelle botteghe di falsi e veri antiquari.
Perché dunque stupirci tanto, meravigliarci solo di quello delle Biennali venete, e in particolare di questo così tanto abbondante, esistente nelle sale della XXIX manifestazione e nel padiglione italiano in particolare, dove davvero il marciume sorpassa la misura e ha il potere di predisporre male per il proseguimento della visita? E allora perché accanirsi contro questa edizione di Biennale? Ma si dia anche una scorsa alla letteratura artistica e cronache d'arte di ieri e si veda quanti idoli crollati, ridotti ad argilla allo stato pantanoso. E non sono cento e cento artisti di ieri svuotati di ogni palpito di vita e di bellezza, freddi e incapaci mestieranti saliti anche all'onore della celebrità, da paragonarsi ad alcuni astrattisti di oggi? Lo sappiamo: il tempo sarà inesorabile con questa triste genia e il silenzio li coprirà di disprezzo. Di che preoccuparci dunque se non solo del fastidio di trovarseli dinanzi?
Tornando all'essenziale, voglio dire che la Biennale non « contagia » o « infetta » come tutti o i più allarmatissimi vanno propagando, non è tutto questo un grande pericolo da cui si scampa e la grande inguaribile malattia, la « speranzata » dal consulto delle lunghe e candide barbe, non fa affatto puzza di cadavere né si trova con un piede vacillante fuori e l'altro sprofondato nel precipizio nel quale profonda voragine senza più via d'uscita sta per precipitare senza speranza di alcuna salvezza. « Morta e sepolta » prima di morire la Biennale proprio non è, al contrario è capace di sviluppare ancora tante energie creative, generate proprio dalla sua « confusione o smarrimento » che saranno e sono il lievito necessario, indispensabile affinché la vera e grande arte torni a generarsi e dia i frutti che in ogni tempo e d'ogni cosa dà l'assestamento e la decantazione della materia e delle idee dello spirito e di ogni ciclo storico dell'umanità tutta.
Come il mondo nei suoi cicli devastatori è risorto rinnovato dalle macerie, la Biennale veneziana – sono in molti a non averlo capito – con tutto il suo disordine e le sue tempestose intemperie, le sue avarie e collisioni d'alto mare, resta sempre e tale resterà nell'avvenire, se non si farà sopraffare dalle stagnanti e putride acque del vecchiume, la più grande e valida manifestazione d'arte di tutto il mondo la cui vitalità darà vieppiù semi e frutti che alimenteranno e nutriranno l'Arte di tutti i popoli. « L'astratto » lo sappiamo, non è un arto da amputare ma da curare con estrema energia per guarirlo dal morbo terribile che in questo momento storico lo infetta, con i miliardi di microbi più nocivi e letali, direi solo nel padiglione italiano.
I vari stracciaioli e stappa buchi e moltissimi altri e i loro sostenitori di contro ai pochi che mantengono il loro ruolo di dignità, fede e sincerità nel fatto creativo fin che continueranno a dare quello che il loro grande spirito creativo ha dato ad oggi potrebbero benissimo espellersi con una sonora ... spinta o mettersi con molto garbo mettersi fuori dalla porta.
Ma alla critica italiana, a molta critica almeno, questo coraggio manca come manca il coraggio di fare uscire dalle impercettibili fessure ( e non dalle finestre ) per le quali entra e detta legge inquinando la vita italiana, tanta " brava " gente che oggi si trova immeritatamente a coprire posti di grande responsabilità, dannosa per il tempo nostro e per la vita dei nostri figli e della nazione soprattutto.
La Biennale, vivaio di valori eterni e indistruttibili, quali che possano essere le sue avarie, è la Biennale agone dell'arte per antonomasia ) e deve assolvere al compito per il quale fu da gente geniale creata proprio a Venezia nell'universale "vivaio" della pittura intesa come pura emozione di colore prima che forma, così com'è oggi intesa in tutto il mondo che si specchia e continuerà a specchiarsi e illuminarsi del riflesso delle acque veneziane.
Compito suo essenziale è quello di agitare le acque stagnanti, al fine di purificarle sempre più e sollecitare le correnti dell'arte che solo qui possono positivamente incontrarsi per irraggiarsi verso tutte le direzioni del mondo. E l'arte si sa non è il mondo che vediamo con gli occhi, cioè il mondo dei sensi ma quello del sensibile, qualcosa insomma che investe dal di dentro e si manifesta e muove con assoluto soggettivismo, come puro fatto creativo.
E in questo e per questo a me pare che la Biennale stia proprio al suo posto tranne che per alcune zone d'ombra o di buio fitto in cui non ci è facile scorgere quali le ragioni che hanno spinto o suggerito a farlo come di cose in mens dei il cui fine non è palese a noi poveri mortali. Quali siano o sono i disegni della Divina Provvidenza, nessuno sa mai. Mi riferisco come tutti si riferiscono, alle accese polemiche, all'astrattismo, o meglio a certo pseudo astrattismo che non sappiamo proprio e perché sia stato così accolto alla Biennale, a questa Biennale soprattutto.
Ci vien persino di pensare che gli organizzatori di quest'anno – non molto diversi dagli anni precedenti – mi direte, sono stati degli astuti dei raffinati machiavellici, presentando così tutto l'astrattismo italiano come ad una apoteosi per « svelarne gli allori » e liquidarlo, come suol dirsi, in blocco.
La qual cosa non sarebbe corretta, non solo, ma nuocerebbe perché non si potrebbe e non si può liquidare, come molti vorrebbero, l'astrattismo, quello vero mosso e generato da profonde e sentite commozioni creative poetiche liriche universali, come l'astrattismo di Viani e Cappello, di Salvatore e di Mastroianni, di Licini o Giarrizzo, di Pirandello e di altri nostri valenti artisti, restando nell'ambito dell'arte italiana, della quale stiamo in prevalenza occupandoci in queste colonne.
Mi direte che vi sono « impegni di penna » teorie estetiche enunciate da " Platoni " e " Aristoteli " dell'Arte come a qualcosa di sacro d'intoccabile, detti evangelici che han forza di legge. Ebbene, anche questi impegni, diciamo così, compromettenti, potranno essere rimossi, così come si sciolgono i voti dei consacrati alla verginità del corpo e della mente.
Certe evidenze solari, possono anche far ricredere ed indietreggiare con orrore dall'orlo del precipizio nel quale si sta per cadere. E quale cosa, atto più bello nella vita dell'uomo, di quello di confessare i propri errori e fare libera ammenda dei propri torti? Quante inespugnabili roccaforti del pensiero sono state rimosse dagli stessi teorizzatori?
Io sono certo che i nostri « maggiori », assai bene qualificati e stimati, ordinatori dell'ultima Biennale, non si faranno sfuggire questa occasione e non avranno certo occasione migliore per « selezionare » rigorosamente e definitivamente, l'astrattismo liquidando tutto il liquidabile, solo frutto di malafede, incapacità e nullismo, di insulso e corrosivo arrivismo.
L'arte è atto puro, sincerità, sublimazione dell'esistenza. I grandi che in ogni tempo vi hanno creduto e che ai fasti dell'arte erano da natura consacrati, hanno fatto dell'arte la più pura e sublime delle religioni e l'han creata affiorandola dal dono della vita tradotta in immagini dello spirito.
L'astrattismo italiano della XXIX Biennale, nella quasi totalità, è fuori da questa universale ed eterna consacrazione. E' la degenerazione dell'arte.

 

Alfredo Entità


da Corriere di Sicilia, Catania 14 Novembre 1958