1950 - MEDARDO ROSSO: Episodio alla XXV Biennale di Venezia

 

Alfredo Entità su MEDARDO ROSSO

 

Violento e improprio il Termine di “ scultura “ per definire le vibrazioni plastiche di quell’artista geniale.

           Nella sala VIII della XXV Biennale, un uomo erculeo in maniche di camicia dà gli ultimi ritocchi alla suggestiva personale di M. Rosso. Vicino a me  che osservo quel mondo vivo e palpitante, quell’uomo improvvisamente esclama:

« Occorre finirla una volta per sempre con Rodin! Rodin!…Rodin!...»

            « Scusi, chi è lei – domando incuriosito per l’inattesa esplosione – è degli organizzatori della personale di Rosso? ».

            « Si!... e sono anche il figlio di Rosso e dico che devono finirla con Rodin! »,.

            Francesco rosso è il figlio, l’unico erede di M. Rosso; colui che con grande amore assistette il padre a Milano all’Asilo Evangelico per ammalati, sin quando Rosso    , il 31 marzo 1928, non fu più di questa terra e la sua morte segnò la scomparsa dell’artista più originale, spontaneo e limpido sortito in Europa e fuori in quest’ultimo secolo. I riconoscimenti, non sollecitati da vivo, si sono ingigantiti dopo la sua morte, con eco universale.

            In culto del figlio (  Fr. Rosso è un uomo maturo di una vitalità sorprendente ) che ha ben sentito la statura eccelsa del padre, ha concorso a mantenere desta la fama meritatissima di Rosso.

Medardo Rosso è stato infatti salutato non dalla patria soltanto – con ritardo – e dalla Francia, dove molto visse e molto insegnò, ma dal mondo intero creatore di una plastica nuova o meglio di una pittura, eseguita con materia plastica apparsa, dopo tanti millenni, e non attraverso una lenta trasformazione per le scintille di un genio.

 Rosso ha il suo posto tra i geni e il suo nome, universalmente acquisito, è di quelli che nella moderna storia dell’arte non subiscono oscillazioni: i suoi valori sono inamovibili ed eterni.

Ma parlare di Rodin, francese, uno di quegli artisti per i quali la Francia ufficiale ( per l’arte italiana d’oggi non c’è un’Italia ufficiale, non c’è mai stata e forse non ci sarà mai ) non ha lasciato nulla d’intentato per farlo apparire creatore di un’arte il cui merito è esclusivo di Rosso, che Rodin precedette in questo impressionismo plastico, non nato in Francia, come la Francia si affanna a dimostrare, ma a Pompei prima e dall’arte italiana più grande del Rinascimento, da Leonardo a Tiziano, è come volere invertire l’origine della sorgente.

E’ la persistenza genetica dei valori chiaroscurali leonardeschi che in Rosso riecheggiano traducendoli traducendoli in luce e ombra, componendo in accordi quasi tonali di grigi eterei o spaziali e di materia ( cera, argilla, bronzo ) e componendo con la stessa fluidità tradizionale lombarda, che in Cremona e Ranzoni, generati dalla medesima linfa e respiranti lo stesso clima che, da Leonardo a Rosso, respinge le metallicità toscane per una poesia figurativa tutta grazia soffice e sognante, che ha la sua schietta origine prima, nel grande maestro dello stile chiaroscurale.

            Alla Francia dunque concediamo il merito di aver coniato il termine « impressionismo » come al Baumgarten quello di aver dato il termine di « estetica » alle precedenti dottrine estetiche di G. B. Vico.

            Ma le forme di Rodin sono determinate nettamente e la luce e i piani d’ombra non hanno il giuoco e la fluidità frementi di vitalità del Rosso, in cui è presente la massima compensazione ed equilibrio tra luce ed ombra, atmosfera e spazio.

            Nessuno prima di Rosso aveva avuto una così luminosa percezione di accostare e fondere i due termini, pittura e scultura, ritenute antitetiche ed estreme persino da Leonardo e Michelangelo, e fonderli in un’arte che riverberasse in fusione perfetta il bello d’arte.

Ora, come si è potuto ammettere che Rosso abbia attinto dall’impressionismo francese che d’altra parte, come si è detto, discende direttamente dall’arte italiana, che va dall’ellenismo romano di Pompei al Cinquecento? E come potrebbe reggere la discendenza di Rosso da Rodin, se Rosso produsse la sua prima opera « rossiana » poco meno di un quindicennio dopo dalla creazione di opere impressioniste del genialissimo italiano?

Ma dalla Francia, in fatto d’arte, c’è da attendersi tutto.

Non è qui in caso di dimostrare quanto differisca l’arte di Rodin da quella di Rosso, tutta vibrazioni e fremiti vitalissimi; come Rodin resti impigliato nel sordo e antiplastico, lontano dallo spiccare gli ampi voli di Rosso, e come quel poco di impressionismo dell’ultimo Rodin sia discendenza diretta del percorso impressionistico di Rosso, che fonde genialmente, per la prima volta, pittura e scultura.

Se c’è oggi del nuovo nella plastica europea, non alla Laurens o alla Moore che denunciano palesemente la discendenza orientale, all’Arp e a Zodkine, ma alla Rosso, bisogna rifarsi a tutta la limpida creazione di Medardo: Manzù insegni!

In Rosso – si rileva anche dai disegni - non vi fu mai il proposito di fare scultura in senso compiuto. Dirò anzi che il monumentale, enfatico, oratorio, la infastidì enormemente. Rosso è l’interprete fedele e sincero di particolari stati d’animo, di commozioni e sentimenti elevati, e rifugge dal declamatorio per raccogliersi in quel mondo di impressioni  nel quale lo sospingevano i suoi sentimenti di poeta, direi romantico, ma di un romanticismo puro, tutto urgenze per la vita che fluisce inconsapevole e soccombe.

E corse dietro alle tenerezze materne, alle mille sventure che echeggiarono sempre doloranti nel suo grande spirito che li tradusse in realizzazioni plastiche, in forme tutte vibranti del compensarsi della luce con la materia arrendevole alle commozioni dei suoi sentimenti tradotti in morbidezze plastiche.

Infatti Rosso ignorò le durezze del marmo e tradusse nel bronzo i suoi modellati per rendere vive persino le capillari vibrazioni del pollice fremente nel dar vita ai fantasmi, creature vive del suo spirito. E sono, le sue creature, bimbi malati, vecchi cadenti, donne tarlate stravolte; tutte impressioni, attimi di vita attinti dal vero, con tutte le distensioni, degradazioni e sfumature della carne.

Rosso sentì il bisogno di rivelare i suoi sentimenti attraverso lo inumano abbandono del « Cantante a spasso », l’abbraccio logorante di « Sotto il lampione », del riso bonario del « Signor Fausto », dell’orrenda maschera della « Mezzana », della delirante espressione di « Carne altrui », sino alle rare tenerezze materne della « Età d’oro », la malinconia del « Malato all’ospedale », la serena gioia del signor «Rouart », le « Donne che ridono», i « Bimbi al sole», « Ebreo », « Malato », « Ecce Puer », in cui c’è tutto il travaglio di una grande anima esulcerata, espresso in morbide, soffici impressioni plastiche, imprimenti fuggevoli ed espressivi guizzi di vita alla sorda materia.

Questo è M. Rosso, il grandissimo Rosso, colui di cui gli italiani dovrebbero parlare e scrivere con maggior rispetto, specie nei grandi trattati destinati a durare, dove spesso l’erudizione diventa pedanteria e somma di errate e nocive valutazioni.

 

Alfredo Entità

 

da: Corriere di Sicilia, Catania;   8  Febbraio 1951